30 01, 2015

Anche a Roma c’è stato un ponte per gli innamorati… il Ponte Milvio

2021-03-18T18:02:32+01:00

Innumerevoli lucchetti hanno adornato uno dei ponti di Roma per diverso tempo, testimoniando promesse di amore eterno o quasi di coppie innamorate. Ora non è più possibile incontrare tali sigilli di amore, che avevano creato qualche problematica alla struttura e ai lampioni, tanto da essere rimossi nel 2007.

Siamo sulla sponda nord del Tevere e stiamo parlando del Ponte Milvio. Si tratta di uno dei ponti più antichi di Roma, situato in un’area che era particolarmente strategica e funzionale al tempo degli antichi romani. Sorge con l’intento di prolungare via Flaminia nel IV secolo a.C. nella zona in cui appunto confluivano le vie Cassia, Flaminia, Clodia, e Veientana.

Gli antichi romani lo chiamavano Ponte Mollo perché durante le piene del fiume Tevere, era il primo dei ponti a essere sommerso dall’acqua. Le prime menzioni di questo ponte risalgono al 207 a.C. durante la seconda guerra punica. In questo momento storico, la struttura doveva essere in legno e la sua costruzione è legata a un certo Molvius, della gens Molvia. Appunto, Molvius è probabilmente il nome di uno dei magistrati che approvarono la ricostruzione del ponte in muratura.

Altre fonti, invece, sarebbero concordi nel collegare il nome del ponte allo stato disastroso in cui spesso si è ritrovato nel corso della storia. A causa di queste frequenti situazioni, il ponte fu sottoposto a diversi interventi di restauro o ricostruzione come ad esempio quello legato al censore Marco Emilio Scauro e risalente al 109 a.C. Tali interventi continuarono sino in epoca moderna. Tra questi, agli inizi dell’ottocento, furono promossi alcuni interventi di restauro da papa Pio VII, e affidati a Giuseppe Valadier. Egli ricostruì le arcate del ponte e realizzò una bella torre in stile neoclassico.

Piranesi-Ponte-Milvio

Esiste però un altro episodio che ha reso il ponte particolarmente celebre per la storia di Roma e dell’intera cultura occidentale. Si tratta della conversione dell’imperatore Costantino, l’imperatore cristiano che nel IV secolo si trovava nei pressi di Ponte Milvio in occasione della battaglia contro Massenzio. Era il 312 d.C. e Costantino uscì vincitore da questo scontro diventando non solo imperatore ma artefice di un rinnovamento religioso che senz’altro ha cambiato il corso della storia dell’Occidente.

Costantino ha promosso la libertà di culto nel 313 attraverso l’editto di Milano. La religione cristiana divenne allora un importante fattore di coesione e di propaganda per Costantino e le fonti tramandano che la sua conversione fu quasi miracolosa. Si narra che Costantino avrebbe sognato il Dio dei cristiani la notte precedente allo scontro con l’avversario, e che in quella notte ebbe chiaramente una premonizione sulla vittoria. Avrebbe dovuto però far rappresentare sugli scudi dei suoi soldati un simbolo formato dalle lettere iniziali del nome di Cristo. Si trattava delle lettere greche X e P.

Oggi il ponte Milvio fa parte del quartiere della Vittoria e di Tor di Quinto, dista poco da Piazza Mancini, e costituisce un sito di interesse non solo per la sua fisionomia ma anche per i suoi dintorni, per la presenza di luoghi di interesse e locali. Si può passeggiare in zona, visitando Ponte Miglio con la sua torretta, e raggiungere anche il Foro Italico o l’Auditorium Parco della Musica. E non solo. Per chi ama andare in bici, è possibile percorrere l’area attraverso il proprio mezzo a due ruote, o addirittura noleggiarlo.

Sappiamo inoltre che un tempo esisteva un circolo di artisti nei pressi del Ponte Milvio, il Pontemolle Gesellschaft, fondato nel XIX secolo. Ne facevano parte Thorvaldsen, Franz, Cornelius, Reinhart, Millin e diverse altre personalità artistiche. Artisti provenienti da tutta Europa si ritrovavano così in questa zona, passeggiando in aree che al tempo dovevano apparire particolarmente suggestive, anche grazie alla presenza della Torretta Valadier, e soprattutto agli occhi di chi giungeva a Roma da lontano.

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Anche a Roma c’è stato un ponte per gli innamorati… il Ponte Milvio2021-03-18T18:02:32+01:00
29 01, 2015

Il Tevere. Alle origini della città di Roma

2021-03-18T18:03:59+01:00

I corsi d’acqua rappresentano da sempre un elemento chiave nella nascita e nello sviluppo storico delle civiltà. Sono tanti gli imperi che hanno fondato sulla presenza dell’acqua la loro intera storia, basti pensare alla Mesopotamia, alla Valle dell’Indo, all’Egitto. Dalle attività commerciali a quelle agricole, dall’allevamento alla valenza culturale, i fiumi sono un mezzo indispensabile per la sopravvivenza dei popoli tanto da essere rivestiti di un significato simbolico.

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Com’è noto, anche la città di Roma vanta la presenza di un importante fiume: il Tevere. Questo fiume nasce sul monte Fumaiolo, un rilievo situato nell’Appennino tosco-romagnolo, e sfocia nel Mar Tirreno. Dopo il Po e l’Adige rappresenta il terzo fiume italiano per lunghezza, scorre per un totale di circa 400 chilometri tra i Monti Sabini e i Monti Cimini. Il Tevere è alimentato da diversi affluenti e corsi d’acqua durante il suo percorso e tra questi l’Aniene, il Nera, e il Farfa sono sicuramente i più noti.

In virtù di tale ricchezza, ci risulta difficile credere che senza la presenza di questa risorsa idrica, Roma avrebbe avuto lo stesso percorso storico. In questo territorio del Lazio, nell’VIII secolo a.C., nascono i primi insediamenti abitativi.

Secondo le fonti tradizionali la fondazione di Roma risale al 753 a.C ma le tracce più consistenti di occupazione sono datate al IV sec. a.C. e situate nell’area ostiense. In tutta la prima fase della storia romana, la città compie una serie di iniziative volte al controllo dei commerci, e in questo discorso, il corso d’acqua gioca un ruolo essenziale.

Sappiamo che i romani erano esperti di ingegneria idraulica; ad essi risale la progettazione di acquedotti in epoca successiva, e addirittura la cosiddetta Cloaca Massima, uno dei più antichi sistemi fognari che si conosca. Siamo solo nel VI sec. a.C. e questo fatto è sicuramente indice della capacità della città di apprendere mezzi e conoscenze dalle civiltà e dai popoli con cui entravano in contatto per dare vita a straordinarie iniziative, prima fra tutte la Cloaca, al cui progetto hanno concorso le conoscenze mutuate dal popolo etrusco.

Come è semplice intuire, il fiume era importante per i commerci e per la sua natura di collegamento con la zona portuale e affacciata sul Tirreno. I latini chiamavano questo fiume Tiberis, da cui deriva appunto Tevere, ma probabilmente il nome più antico è Rumon, da “ruminante”, fatto che evidenzia e fa riferimento all’erosione delle sponde del fiume notata già in epoca antica.

Un’altra espressione con cui i romani indicavano il Tevere è “Albula” o “Biondo Flavio” a causa della tonalità della sabbia. Una curiosità su cui vale la pena di soffermarsi è che secondo Servio, autore latino vissuto verosimilmente durante il V sec. a.C, la città di Roma deve il proprio nome proprio al Tevere. Rumen o Rumon, i termini con cui i latini indicavano il fiume, condividono una radice simile a Roma, e più precisamente al verbo Ruo, ovvero “scorro”.

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Quanto alle fonti leggendarie sulle origini di Roma, sappiamo che fu Enea, il celebre eroe mitologico profugo da Troia e in cerca di una patria, a giungere in questa zona dove sarà fondata Roma e anche qui, è il fiume a giocare un ruolo essenziale. Enea risalì la foce del fiume che allora era noto come Albula, arrivando nei pressi di un’area abitata da pastori. Il fiume fu poi chiamato Tevere probabilmente in onore di una divinità fluviale o un Re chiamato Tiberinus che potrebbe aver avuto qualche collegamento con il corso d’acqua.

Leggenda o no, sappiamo che il fiume fu utilizzato sin dalle origini della città e che il popolo si preoccupò di avviare una serie di interventi per poter sfruttare in maniera ottimale questa riserva. Il Tevere fu utilizzato come risorsa di acqua potabile, come collegamento e via di comunicazione, percorribile da imbarcazioni, e come ambiente favorevole alla pesca. Si costruivano ponti in legno per attraversare le sponde, e tali costruzioni divennero poi in muratura. Come già accennato, il primo acquedotto di Roma deve la sua origine ad Appio Claudio, colui che decise di costruire anche la famosa Via Appia.

Oggi il Tevere è un meraviglioso corso d’acqua che attraversa la Città Eterna regalando ai suoi visitatori dei panorami che difficilmente si dimenticano. Poco fuori da Roma, oltre il GRA, il Grande Raccordo Anulare, il fiume scorre all’interno di un’area protetta che fa parte della Riserva Naturale del Litorale Romano. In tutto il suo percorso, questo fiume incontra molte specie vegetali, arbusti, piante come pioppi, eucalipti, pini domestici e varie specie faunistiche che vi trovano un habitat ideale. Sappiamo infatti che al momento della bonifica, per ragioni logistiche, furono piantate nella zona della foce delle specie arbustive in grado di assorbire acqua in eccesso. Questa è la ragione alla base della straordinaria biodiversità che caratterizza il paesaggio romano oggi.

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Il Tevere. Alle origini della città di Roma2021-03-18T18:03:59+01:00
28 01, 2015

Il Carnevale a Roma: dolci e maschere della tradizione

2021-03-18T18:04:30+01:00

E anche quest’anno è arrivato. Cosa? Il Carnevale in tutta Italia e anche a Roma con il suo carico di coriandoli, maschere, scherzi, sfilate, dolcetti e festeggiamenti vari. È iniziato il 17 gennaio (festa di S. Antonio) e terminerà come sempre il martedì grasso, giorno che segna l’inizio dei quaranta giorni di quaresima che precedono la Pasqua. Sicuramente minore rispetto al carnevale di Venezia o a quello di Viareggio, anche a Roma però questa festa ha il suo perché ed una storia interessante. Ha origine dai Saturnalia, festività religiose che nella Roma papalina erano caratterizzate da balli, maschere, riti orgiastici, divertimenti, sacrifici e trasgressioni di vario tipo.

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In qualunque epoca non c’è festa che si rispetti senza cibo, siamo tutti d’accordo? Cosa si mangia allora a Roma per festeggiare il Carnevale? Basta andare in una pasticceria o in un bar ben fornito e rifarsi gli occhi. Ci sono le frappe (chiamate anche chiacchiere, bugie o frappole in altre regioni di Italia): dolci a forma di striscia spesso annodata a formare una sorta di fiocco preparati con un impasto di farina, uova e zucchero che viene poi cotto al forno oppure fritto ed infine arricchito da una spolverata di zucchero a velo, miele o una spruzzata di liquore.

Troviamo anche le castagnole che rimandano all’antica Roma nella quale alle feste in onore del Dio Bacco si offrivano delle palline fritte, che sono poi giunte fino ad oggi. Le castagnole sono infatti palline di farina, uova, zucchero e burro che vengono fritte e poi ricoperte di zucchero a velo e cannella. Molto spesso sono vuote ma se ne trovano anche nella golosissima versione ripiena di ricotta, crema o più raramente cioccolato e limoncello. Una vera bontà da non lasciarsi scappare a Carnevale a Roma e che non avrete di sicuro problemi a trovare in giro!

Da cosa ci si maschera a Carnevale a Roma? Ormai le maschere tipiche sono un lontano ricordo e i bambini attingono soprattutto ai cartoni animati più alla moda ma la maschere classiche romane mantengono inalterato il loro fascino e andrebbero preservate. Meo Patacca e Rugantino sono le maschere tipiche della tradizione popolare romana, ormai un po’ in disuso.

Meo Patacca

Meo Patacca

Meo Patacca è un popolano spaccone e attaccabrighe, sempre pronto a buttarsi nella mischia, tipico personaggio di Trastevere secondo la tradizione: per travestirsi da Meo Patacca occorrono una giacca di velluto, pantaloni stretti fino al ginocchio con una sciarpa colorata come cinta ed i capelli raccolti in una retina.

Rugantino è sicuramente la maschera simbolo di Roma: un giovane popolano arrogante e romantico protagonista di una delle storie d’amore più famose della tradizione romana rappresentata anche in vari musical a teatro. Come ci si traveste da Rugantino? Nulla di molto diverso rispetto a Meo Patacca. Bastano pantaloni al ginocchio, fascia intorno alla vita come cinta, camicia con casacca e fazzoletto al collo. Abiti semplici da perfetto personaggio del popolo romano.

E voi siete pronti a festeggiare il carnevale a Roma?

Il Carnevale a Roma: dolci e maschere della tradizione2021-03-18T18:04:30+01:00
27 01, 2015

La Bocca della Verità tra cinema, storia e realtà

2021-03-18T18:05:27+01:00

La “Bocca della verità” è il nome di un monumento romano particolarmente celebre e misterioso ubicato nel portico di Santa Maria in Cosmedin. Passeggiando in questa zona vale assolutamente la pena sostare un po’ per provare a vedere se è vero quel che la leggenda racconta! Secondo la tradizione, infatti, inserendo la mano nella bocca di questo volto ieratico e marmoreo, qualora si menta, la mano non verrà restituita indietro e la bocca la tratterrà!

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Si tratta di un vero e proprio “test della verità” che ha esercitato il proprio fascino anche nel mondo del cinema. Conoscerete sicuramente “Vacanze romane”, il cui titolo originale è Roman Holiday, pellicola del 1953 diretta da William Wyler e che ha come protagonisti Gregory Peck e Audrey Hepburn.

Ebbene, una delle scene più importanti del film è stata girata nei pressi di questa bocca di pietra, ammettiamolo, un po’ inquietante. Gregory Peck racconta ad Audrey che secondo la tradizione, infilando la mano nella bocca della verità, questa la inghiottirebbe qualora si stia mentendo. Leggenda o meno, non conviene, dunque, dire qualche bugia di fronte a questo monumento! Si dice anche che la Hepburn proprio durante le riprese è stata vittima di uno scherzo: Joe, è questo il nome del protagonista maschile, farà finta che la sua mano resti incastrata nelle fauci del monumento. Sembra che la bella attrice si sia davvero spaventata, fatto che ha contribuito a rendere questa scena particolarmente spontanea e realistica.

Ma che cos’è la Bocca della Verità? Si tratta di una maschera in marmo inserita nelle mura del pronao della chiesa di Santa Maria in Cosmedin. Rappresenta un volto barbato e può essere variamente interpretato come Giove Ammone o più semplicemente come oracolo. Si trova nella sua collocazione attuale dal Seicento, mentre originariamente era un tombino di età classica. Come di consuetudine, i tombini erano allora decorati con l’immagine simbolica di un dio fluviale o legato al simbolismo dell’acqua. Nell’XI secolo, la mentalità medievale portò a rivestire la Bocca della Verità di una natura oracolare e magica.

Tra l’altro, proprio alcune fonti medievali raccontano le vicende storiche del passato inserendo questo monumento nella narrazione. Giuliano l’Apostata, ritenuto sostenitore del paganesimo, avrebbe anche lui vissuto delle esperienze legate alla Bocca della Verità. Qui, si sarebbe nascosto il demonio sotto i panni di Mercurio, dio del pantheon pagano, e dietro alla maschera avrebbe trattenuto la mano dell’imperatore ingannandolo. Ma come mai l’imperatore si trovava nei pressi del monumento? Giuliano avrebbe preso in giro una donna truffandola e doveva quindi giurare dinanzi a questo oracolo le sue buone intenzioni. Il demonio avrebbe di conseguenza approfittato della vicenda, fingendosi Mercurio, dio che aveva relazioni con il commercio, e promettendogli un buon esito qualora l’imperatore avesse restaurato il paganesimo.

bocca della verità

Questa non è l’unica testimonianza medievale della fama della Bocca della Verità. Sembra che Virgilio Grammatico sia stato il padre di questo simulacro. Siamo nel VI secolo e Grammatico è uno dei dotti del tempo. Esperto di magia, avrebbe costruito tale Bocca di pietra proprio per testare la buona fede di coloro che si sottoponevano a tale prova. Mogli e mariti che dubitavano della fedeltà del proprio sposo avrebbero così avuto una prova incontrovertibile delle buone intenzioni dell’altro.

Anche le fonti rinascimentali raccontano di questa Bocca che destava la curiosità dei viaggiatori europei del tempo che si recavano in visita nell’Urbe e tante furono le storie che fiorirono attorno a questo monumento emblematico, che ancora oggi suscita, se non paura o timore, certamente tanta, tanta curiosità! Alzi, ops, la mano, chi non ha mai ceduto alla tentazione di inserire il proprio palmo all’interno delle fauci di pietra.

La Bocca della Verità tra cinema, storia e realtà2021-03-18T18:05:27+01:00
25 01, 2015

Le terrazze del Pincio, non solo belvedere. Storia dei busti di marmo

2021-03-18T18:05:54+01:00

Pincio a Roma

Tra i luoghi più caratteristici di Roma ce n’è uno particolarmente conosciuto e romantico. Si tratta di una zona in rilievo che è parte di Villa Borghese, dalla quale si gode di un panorama straordinariamente emozionante.

Il Pincio, detto anche colle Pinciano, è il nome con cui si indica generalmente questo luogo che in passato fu la scelta preferita dai nobili per le loro consuete passeggiate in città. Come dare loro torto? Del resto, qui, gli antichi romani avevano edificato edifici e giardini, e una prova di questa assidua frequentazione storica ci è offerta proprio dalla toponomastica.

“Pincio” deriva dal nome di una di queste famiglie romane, la famiglia dei Pinci, i quali avevano edificato qui alcune costruzioni. Il cosiddetto “Muro torto” è una traccia costruttiva di questa fase storica.

L’attuale fisionomia architettonica di questo luogo, in stile decisamente neoclassico, è legata all’architetto Giuseppe Valadier, e dunque alla politica di Napoleone Bonaparte. Sempre Valadier è stato il responsabile del progetto di Piazza del Popolo nel 1816. Appunto, da questa piazza celebre di Roma, centrale e particolarmente frequentata, si accede alle Terrazze del Pincio attraverso due tornanti. Fu appunto l’architetto a inserire anche elementi vegetali nel progetto creando un’interessante commistione paesaggistica tra componenti edilizie e naturali.

Appunto, Valadier, non restò insensibile al fascino del luogo, progettando qui una residenza privata, chiamata Casina Valadier. Questa abitazione realizzata secondo gli stilemi architettonici del neoclassico non fu però mai occupata dall’architetto, il quale sfortunatamente morì prima di potersi trasferire.

Passeggiando sulle Terrazze del Pincio, è possibile notare la presenza di alcuni busti scolpiti. Si tratta di personaggi storici che hanno avuto un ruolo essenziale nelle vicende storiche e culturali del Paese e la loro collocazione risale alla metà del Novecento.

Fu Pio IX a dare un concreto impulso alla loro sistemazione, anche se il loro progetto era stato voluto dalla Repubblica Romana già all’inizio del secolo. Le fonti raccontano che il 28 maggio 1948 il cosiddetto Triumvirato decise di realizzare alcuni busti in marmo che commemorassero dei celebri personaggi storici. Si stanziò addirittura un fondo di dieci mila lire per la loro costruzione. All’epoca, lo Stato Italiano acquistò Villa Borghese avviando una serie di interventi migliorativi. Tra questi, c’erano anche i busti scolpiti, il cui numero aumentò nel corso degli anni, arrivando a 228 negli anni sessanta.

Max Schlichting, Monte Pincio, 1924.

Max Schlichting, Monte Pincio, 1924.

Sono soltanto tre i nomi delle donne ritratte: Vittoria Colonna, Caterina da Siena, e Grazia Deledda, mentre, tra i busti più celebri ce n’è uno particolarmente interessante dedicato al gesuita Angelo Secchi, un importante astronomo italiano vissuto nell’Ottocento. Fu direttore dell’Osservatorio astronomico del Collegio Romano, e a lui si deve la collocazione della cosiddetta “mira” per determinare il meridiano di Roma. La colonna e il busto vennero danneggiate in seguito ad atti vandalici proprio negli anni sessanta e poi ripristinati nel 2001.

Sembra inoltre che il pontefice Pio IX decise di escludere dai busti da collocare sul Pincio alcuni personaggi ritenuti atei, eretici, o comunque non meritevoli di essere celebrati in tale luogo. Tra questi c’erano Arnaldo da Bresci, Giovanni da Procida o lo stesso Napoleone Bonaparte.

Un’altra curiosità è legata alla decisione del 1883 di ritrarre solo personaggi che fossero morti da almeno 25 anni e non meno. Se vi state chiedendo invece se la collocazione dei busti di marmo ha seguito un progetto determinato, sappiate che la loro disposizione è assolutamente casuale. Fanno eccezione alcune erme create in onore dei caduti nel primo conflitto mondiale nel 1918.

Tra i personaggi che è possibile ammirare oggi in questo luogo ci sono: Leon Battista Alberti, Cesare Beccaria, Giovanni Boccaccio, Gian Lorenzo Bernini, Cristoforo Colombo, Ugo Foscolo, Masaccio, Filippo Brunelleschi, Giordano Bruno, Cola di Rienzo e persino Archimede di Siracusa.

Le terrazze del Pincio, non solo belvedere. Storia dei busti di marmo2021-03-18T18:05:54+01:00
23 01, 2015

L’EUR, sconosciuto o quasi, quartiere di Roma

2021-03-18T18:07:04+01:00

Magari ne avete sentito parlare ma non vi è mai capitato di recarvi da queste parti o essere di passaggio durante la vostra permanenza nella Capitale. Si tratta di un quartiere di Roma, la cui fisionomia edilizia risale all’epoca fascista: l’EUR.

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Siamo negli anni Trenta del Novecento e Mussolini esprime chiaramente la volontà di avviare un progetto costruttivo unico e adatto per ospitare l’Esposizione Universale che si sarebbe svolta nel 1942. La guerra pose chiaramente fine a questo intento, pur non impedendo al quartiere di avere una storia autonoma, rappresentando ancora oggi un’area urbana molto attiva.

Il nome originario previsto per questo spazio celebrativo dimostra un collegamento con l’Esposizione Universale. L’EUR avrebbe dovuto infatti chiamarsi E42 proprio in riferimento all’anno di attuazione. EUR è una sigla, un acronimo, che sciolto significa proprio: Esposizione Universale Roma.

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Nel corso degli anni, il quartiere si è andato sempre più sviluppando, accogliendo nuovi edifici e spazi urbani, diventando una zona moderna e funzionale. Qui, gli appassionati di architettura possono osservare gli edifici che risalgono all’epoca fascista, nel tipico stile chiaro, essenziale e al contempo monumentale dell’epoca. Il “Palazzo della Civiltà del Lavoro”, con la sua facciata ad archi sovrapposti, e il “Palazzo dei Congressi” ne sono un chiaro esempio.

Il Palazzo della Civiltà del Lavoro fu progettato nel 1937 da Giovanni Guerrini, Ernesto Lapadula e Mario Romano, presentandosi ancora oggi come una costruzione particolarmente razionale e celebrativa tanto da essere chiamato il “Colosseo Quadrato”. Si trova in un’area urbana conosciuta come Quadrato della Concordia, presenta una pianta quadrata ed è stato realizzato in cemento armato e travertino. Anche la scelta del travertino evidenzia una volontà di collegarsi ideologicamente alla tradizione storica dell’impero romano.

L’edificio appare come un parallelepipedo con quattro facciate e archi. Con i suoi innumerevoli archi, appunto, il Palazzo della Civiltà del Lavoro non può che ricordare l’estetica del Colosseo di Roma, e probabilmente questo riferimento al monumento per cui Roma è conosciuta in ogni parte del mondo, è intenzionale all’interno dell’ideologia promossa dal Duce. L’edificio è stato dichiarato dal ministero per i Beni e le Attività Culturali come una testimonianza di interesse culturale.

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Anche il “Palazzo dei Congressi” rappresenta un interessante esempio di architettura di epoca fascista, anche per quel che riguarda i suoi spazi interni. Progettato nel complesso da Adalberto Libera, deve la sua decorazione interna ad Achille Funi e all’artista futurista Gino Severini. Oggi è utilizzato come spazio espositivo o come contenitore di eventi di vario tipo. Sono i marmi degli interni a caratterizzare il Palazzo dei Congressi accanto alle opere d’arte qui contenute. Nell’atrio Kennedy, ad esempio, proprio all’ingresso dell’edificio, è possibile ammirare un affresco sulle origini della città di Roma, legato al nome di Achille Funi.

Infine, se passeggiate per l’Eur e incontrate un obelisco, sappiate che è assolutamente moderno. Opera di Arnaldo Pomodoro è chiamato appunto “Novecento”: più contemporaneo di così! Alto 21 metri questo obelisco è una torre a spirale che rappresenta in maniera simbolica l’idea del movimento e del progresso. Se decidete di trascorrere qualche ora in questa zona di Roma, e di allontanarvi dal centro, non potete inoltre non recarvi al Planetario che proprio qui trova la sua ubicazione, o anche fare una visita pomeridiana al famoso Laghetto, dove vivono diverse anatre all’interno di uno spazio verde tranquillo e rilassante.

L’EUR, sconosciuto o quasi, quartiere di Roma2021-03-18T18:07:04+01:00
21 01, 2015

Il Vittoriano. Una vista indimenticabile sulla città e un attivo spazio culturale

2021-03-18T18:07:32+01:00

A Roma, in Piazza Venezia, esiste un monumento che si erge in tutta la sua imponenza rendendosi visibile da più angolazioni: il Vittoriano. Di giorno, di sera, in qualunque momento della giornata vi troviate a passare nei pressi del Campidoglio, il Vittoriano, o Altare della Patria, vi sorprenderà in tutta la sua magnificenza.

Allied Forces in_Rome - June 1944

Il celebre Monumento nazionale a Vittorio Emanuele II fu costruito per onorare e accogliere le spoglie di Vittorio Emanuele II di Savoia, il primo Re d’Italia. Il progetto edilizio è opera di Giuseppe Sacconi, il quale pensò a questo luogo come una vera e propria allegoria dell’Italia, un simbolo celebrativo del territorio nazionale e del suo spirito, unificati all’interno di un solo monumento. Tutti i gruppi scultorei che trovano una collocazione nell’Altare della Patria sono una prova delle intenzione alla base della sua edificazione. I gruppi del Pensiero, della Concordia, del Diritto sono solo alcune di queste rappresentazioni simboliche che è possibile ammirare ancora oggi. Tra bassorilievi e sculture, la sola rappresentazione non simbolica ma realistica è quella di Vittorio Emanuele.

Il Vittoriano non costituisce solo un importante emblema architettonico della capitale e della storia nazionale, ma è anche un attivo centro culturale, sede di mostre artistiche o di importanti iniziative. Del resto, questa natura poliedrica fa parte dell’Altare della Patria sin dall’origine. Nel 1921 l’Altare della Patria ospitò i resti mortali del Milite Ignoto, fatto che rafforzò in senso allegorico questo monumento unico nel suo genere ma già nel 1915 si celebrò una famosa manifestazione per onorare i caduti in guerra.

Si è detto che proprio alla morte del Padre della Patria Vittorio Emanuele II si decise di celebrare questo personaggio storico attraverso un monumento. Era il 1878 e già qualche anno dopo, nel 1880, fu un architetto francese, Nenot, a vincere il bando di concorso per edificare un monumento dedicato al Re. Questo evento non portò a nessuna fase edilizia concreta, ragion per cui, fu bandito un secondo concorso qualche anno dopo, nel 1882, che fu vinto dall’architetto marchigiano Giuseppe Sacconi. Il progetto presentava delle linee orientative sul progetto: ad esempio, il complesso doveva sorgere sul Campidoglio e presentare una statua equestre dedicata al Re, uno sfondo con una determinata estensione espressa in metri, e presentarsi in modo da coprire gli edifici che sorgevano alle sue spalle.

Carlo Cainelli, Vittoriano - Altare della Patria, Museo d'arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, 1920.

Carlo Cainelli, Vittoriano – Altare della Patria, Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, 1920.

Chi ama gli indimenticabili panorami sulla città di Roma, non resterà certamente deluso una volta salito sulla Terrazza delle Quadrighe, sulla sommità del complesso del Vittoriano. Qui, è possibile ammirare uno dei panorami più belli della capitale. Si tratta infatti di un punto particolarmente strategico, che consente di cogliere con lo sguardo una veduta sulla città davvero ampia. Da qui si possono osservare il Colosseo ma anche alcune chiese del centro, i Fori Imperiali, il Tevere, il Quirinale e persino i Castelli Romani.

Sono vari gli eventi di rilievo che si sono succeduti all’interno di questo spazio a partire dalle mostre di arte moderna e contemporanea. Cézanne, Mondrian, Sironi, retrospettive di artisti di fama internazionale, mostre fotografiche. Il Vittoriano è uno scrigno che ancora oggi celebra la libertà creativa insita in ogni forma di arte, a qualsiasi epoca appartenga.

Il Vittoriano. Una vista indimenticabile sulla città e un attivo spazio culturale2021-03-18T18:07:32+01:00
19 01, 2015

Quando Roma fa rima con romantico… storia del Roseto Comunale

2021-03-18T18:08:31+01:00

Ogni primavera, le rose fioriscono anche a Roma, sul versante orientale dell’Aventino. In prossimità del Circo Massimo, si trova un Roseto Comunale unico nel suo genere, dove al termine del mese aprile ha luogo puntualmente uno spettacolo meraviglioso: la fioritura di circa mille specie di rose differenti. Si tratta di un evento da non perdere, per chi ha la possibilità di trovarsi in città in questo periodo dell’anno. Il roseto è aperto dalla primavera sino a ottobre, restando chiuso per la maggior parte dell’anno, e quindi occorre assolutamente approfittarne per godersi paesaggio e vegetazione.

Roma - Roseto Comunale

Le dimensioni di quest’area verde sono discrete e comprendono circa un ettaro di terra; ciò che stupisce è la bellezza delle varietà di rose che vi fioriscono. Le aree di accesso sono lungo via di Valle Murcia. Quanto alla sua storia, sappiamo che il roseto fu istituito negli anni Trenta del Novecento per volontà del Principe Francesco Boncompagni Ludovisi spinto a sua volta dalla contessa Mary Gayley Senni. Questa donna, originaria della Pennsylvania, esperta di botanica e particolarmente sensibile al fascino di questi fiori, fu curatrice delle varie edizioni del Premio Roma per le Nuove Varietà di Rose che fu istituito nel 1933. Viaggò molto per l’Europa, e sposò Giulio Senni, risiedette nella sua villa di Grottaferrata, e proprio nel 1924, donò al Comune di Roma un primo nucleo di quella che sarebbe diventata in seguito la collezione di rose.

L’area dove sorge oggi il roseto, denominata Valle Murcia, è in realtà una zona frequentata sin dall’antichità. Qui, nel III secolo a.C. sorgeva un tempio dedicato alla dea Flora. Ce ne parla lo storico latino Tacito nei suoi Annales, dove parla si fa riferimento a un piccolo luogo cultuale. Le feste in onore della dea vengono qui chiamate Floralia e avevano luogo proprio nel Circo Massimo.

Rosa Clair Matin.

Rosa Clair Matin.

Sappiamo che l’area fu inoltre sede del cimitero ebraico nel corso del Seicento, prima che fosse trasferito nel Verano, ragion per cui la zona venne definita “Ortaccio degli Ebrei”. Quanto al tempio di cui oggi non resta purtroppo nessuna traccia materiale, sappiamo che era dedicato a Flora, la dea della primavera e dei fiori. Anticamente, i romani celebravano in suo onore delle celebrazioni che avevano luogo alla fine di aprile.

Oggi la collezione comprende 1.100 specie di rose differenti ed è suddivisa in “rose botaniche”, “rose antiche” e “rose moderne”. Il roseto è considerato tra i più belli esistenti al mondo, e le varietà di rose provengono da varie zone, persino dalla Mongolia e della Cina.

Tra le specie da osservare e ammirare ci sono la Rosa Chinensis Mutabilis che cambia colore giorno dopo giorno, e addirittura una specie di rosa che anziché emanare un profumo delizioso, si caratterizza per un odore sgradevole, chiamandosi, appunto, Rosa Foetida.

Rosa Tequila-Meilland

Rosa Tequila-Meilland

Quando Roma fa rima con romantico… storia del Roseto Comunale2021-03-18T18:08:31+01:00
31 12, 2014

La Roma che non ti aspetti: Villa Torlonia e la Casina delle Civette

2014-12-31T16:00:53+01:00

Villa Torlonia è uno dei più affascinanti complessi costruttivi della Capitale, il cui ingresso principale è situato in Via Nomentana. Si tratta di una villa nobiliare romana che sorge in un giardino che colpisce per ricchezza e per la presenza di vari edifici che vanno scoperti gradualmente passeggiando all’interno del parco. Tra questi, la Casina delle Civette non può non colpire l’occhio del visitatore sensibile al fascino del mistero, del simbolismo e del fantastico.

Villa Torlonia - Ingresso

La villa è storicamente legata al nome della famiglia Torlonia. Più precisamente, Giovanni Torlonia diventato marchese alla fine del Settecento, acquistò la Villa Colonna affidando all’architetto Giuseppe Valadier, uno dei protagonisti italiani del movimento neoclassico, il compito di apportare migliorie all’edificio rendendolo una manifestazione artistica dello status nobiliare della famiglia. Di conseguenza, furono realizzati interventi sul Casino dei Principi, sulle Scuderie, sull’ingresso e anche sul giardino con un progetto maestoso in cui trovarono posto nel corso del tempo anche varie statue della classicità e i famosi obelischi.

Il complesso fu arricchito grazie all’iniziativa del figlio di Giovanni, Alessandro Torlonia, al quale si deve la sistemazione di altri edifici come il Tempio di Saturno e l’Anfiteatro, l’Aranciera, accanto ai laghetti, e a quello che in seguito sarebbe diventato appunto la Casina delle Civette, chiamata inizialmente Capanna Svizzera.

Il complesso è oggi una commistione eclettica di stili e atmosfere, richiami esotici, al medioevo e all’antichità secondo un gusto autocelebrativo. Ciò che tutti non sanno è che la villa fu per un certo periodo anche residenza di Mussolini, esattamente sino al 1943. Fu poi occupata delle truppe anglo-americane e soltanto nel 1977 divenne di proprietà del comune di Roma.

La Casina delle Civette a Villa Torlonia

La cosiddetta Casina delle Civette che fu residenza di Giovanni Torlonia jr. rappresenta un edificio unico e originale per stile e decorazioni. Si tratta di un edificio che sorge in una zona poco distante dalla residenza principale, in un luogo più raccolto e periferico. Fu commissionata da Alessandro Torlonia a Giuseppe Jappelli negli anni Quaranta dell’Ottocento. Oggi si mostra come una fusione di due complessi, il villino e una dipendenza, i quali risultano collegati tra loro da una galleria e da un passaggio sotterraneo.

A prima vista sembra quasi di essere all’interno di un villaggio medievale. Appunto, questa costruzione che per materiali e forme impiegate era tipicamente romantica, fu sistemata dal nipote di Alessandro, Giovanni Torlonia jr. A questo periodo risalgono le meravigliose vetrate, soprattutto quella con le famose civette, la cui presenza suggerì com’è facile immaginare il nome di Casino delle Civette che sostituì quello di Capanna Svizzera che un tempo identificava la costruzione. Questo tema iconografico era molto caro ad Alessandro, il quale cercò di introdurlo in numerose decorazioni legate agli ambienti di questo Casino tanto che si parla spesso di questo complesso come di un ricco vocabolario esoterico per la presenza di simboli. Lo spazio presenta oggi una commistione di stili e risulta arricchito dalle decorazioni in stile liberty elaborate nel corso del Novecento. Sicuramente le vetrate rendono questo edificio singolare e “visionario”.

Dopo un intervento promosso dal Comune di Roma, da parte dell’Assessorato alle Politiche Culturali Sovraintendenza ai Beni Culturali, Villa Torlonia, è visitabile nelle sue varie aree, dall’ottocentesco Casino Nobile, che è oggi Museo della Villa, al Casino dei Principi, sino al Museo della Casina delle Civette e al meraviglioso giardino.

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31 12, 2014

Il culto di Mitra a Roma. I luoghi di culto sotterranei

2021-03-18T18:11:02+01:00

In una fase particolare della sua storia, Roma, la città che è diventata simbolo del cristianesimo occidentale, si aprì all’esterno e ai culti orientali alimentando un sincretismo di correnti e culture. Siamo alla fine del I sec d.C. e proprio un culto di origine persiana si affermò a Roma diventando un movimento alternativo alla religione ufficiale. Il culto diventò così importante che, secondo le fonti, persino Nerone si fece iniziare ai suoi riti.

Tauroctonia di Mitra, British Museum, Londra.

Tauroctonia di Mitra, British Museum, Londra.

Il Mitraismo in realtà era stato introdotto tempo prima negli ambienti ellenistici durante le campagne di Pompeo del I sec a.C. ma fu sotto la dinastia dei Severi, che questo culto per certi versi affascinante e misterioso fu particolarmente seguito. Una delle ragioni di questa fama è che il Mitraismo possiede degli elementi che lo avvicinano a una corrente spirituale piuttosto iniziatica, e dunque, riuscì a colpire la sensibilità del mondo romano in un momento delicato della sua storia.

I principali luoghi di culto di questa religione erano per lo più nascosti e sotterranei. Queste aree sono chiamate Mitrei, luoghi dedicati a una divinità connessa alla dimensione solare, protettore della giustizia, e legato alla salvezza, che come vedremo, per molti aspetti, si avvicina alla figura di Cristo.

Pur non essendo diventato mai religione ufficiale di stato come avvenne poi col cristianesimo, il culto ha goduto di ottima fama presso vari imperatori, come ad esempio Diocleziano che lo identificò con il Sol Invictus, il “Sole invincibile”. Esistono punti di contatto tra la religione cristiana e quella del Dio Mitra. Infatti entrambe le correnti sostengono una grande fede nella vita dopo la morte e nella resurrezione, si servono dell’immagine del Giudizio Finale, e celebrano il giorno natale del dio il 25 dicembre, esattamente come continua ad accadere oggi.
Com’è noto, con l’editto di Costantino nel 313 d.C. e con Teodosio nel IV secolo, la religione cristiana diventa religione ufficiale dell’impero, anche se durante Giuliano l’Apostata vi era stata una breve parentesi pagana.

Di questo culto restano tracce archeologiche particolarmente significative nei luoghi sotterranei di Roma. Il Mitreo Barberini è uno dei Mitrei più importanti e meglio conservati, situato in via delle Quattro Fontane. La particolarità di questo luogo è quella di possedere dei dipinti murali, e dunque, delle testimonianze iconografiche legate al culto di questa divinità solare, spesso rappresentata nell’atto di uccidere un toro. La cosiddetta “tauroctonia” è un sacrificio rituale associato al Mitraismo con valenza astronomica, espressione del controllo del dio sulla processione degli equinozi. Questo episodio ci fornisce molte indicazioni sulle pratiche rituali del culto in quanto mancano fonti scritte consistenti a riguardo. Un altro Mitreo con raffigurazioni è il Mitreo di Santa Prisca, situato sotto alla chiesa di Santa Prisca sull’Aventino. Anche qui le pitture parietali documentano vari episodi legati alla storia del dio e in una nicchia compare una tauroctonia originale che comprende le figure di Saturno e di Mitra, rappresentano senza vesti.

Mitreo del Circo Massimo.

Mitreo del Circo Massimo.

Il Mitreo del Circo Massimo sorge invece nei pressi del Circo Massimo, sotto un edificio in via dell’Ara Massima ed è stato scoperto nel 1931. Anche qui è stato ritrovato un rilievo con rappresentazione di tauroctonia e in cui il dio è accompagnato dai dorifori (portatori di lancia) Cautes, Cautopates, dal Sol e dalla Luna. Parte della pavimentazione di marmo è ancora visibile accanto ad iscrizioni con i nomi di vari liberti della società romana.

Un altro Mitreo famoso è il Mitreo delle Terme di Caracalla per dimensioni e localizzazione. Sorge presso le terme di Caracalla ed è situato accanto alla basilica di Santa Balbina. Il vano è a pianta centrale con volte a crociera e presenta ancora oggi i resti di un pavimento decorato a fasce bianche e nere. Un antico vestibolo era probabilmente destinato al sacrificio dei tori.

Il Mitreo di San Clemente si trova invece nella zona inferiore della basilica di San Clemente. Nel corso del III secolo una casa privata che sorgeva in questa zona fu trasformata in mitreo subendo delle trasformazioni edilizie per ospitare il culto. Fu quindi creata una volta a botte decorata con stelle che doveva evocare un cielo notturno. In una nicchia doveva trovarsi una statua del dio e la consueta rappresentazione di Mitra che uccide il toro.

Tutti questi luoghi sotterranei sono stati studiati nel corso del tempo da numerosi archeologi e studiosi. Tra questi, un contributo fondamentale allo studio del culto è stato dato da Filippo Coarelli, che ha restituito una documentazione dei mitrei nella sua pubblicazione Guida archeologica di Roma.

Il culto di Mitra a Roma. I luoghi di culto sotterranei2021-03-18T18:11:02+01:00
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